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Prestiti: in Lombardia chiesti in media 6.565 euro per cure mediche

In Lombardia, secondo l’analisi di Facile.it e Prestiti.it, nel 2023 le richieste di prestiti personali per sostenere le spese mediche hanno rappresentato il 4,6% del totale dei finanziamenti richiesti nella regione. E chi ha presentato domanda per questa tipologia di prestito ha cercato di ottenere, in media, 6.565 euro.

I tempi di attesa sempre più lunghi della sanità pubblica spingono infatti i cittadini a rivolgersi alla sanità privata. Ma per sostenere questi costi, sono tanti coloro che sono appunto costretti a chiedere un prestito.

“Curarsi è diventato sempre più oneroso, e ricorrere al credito al consumo può essere una strategia”

“Oggi curarsi è diventato sempre più oneroso, anche alla luce del maggior ricorso alla sanità privata – ha spiegato Aligi Scotti, BU Director prestiti di Facile.it -. Servirsi del credito al consumo può essere una strategia per alleggerire l’impatto di queste spese sul bilancio familiare, evitando così di andare in sofferenza o, peggio, di rinunciare a curarsi”.
Come detto, chi in Lombardia lo scorso anno ha chiesto un prestito personale per pagare cure mediche ha cercato di ottenere, in media, 6.565 euro, una cifra da restituire in poco più di 51 mesi.

L’identikit del richiedente lombardo

Se si guarda al profilo dei richiedenti lombardi si scopre che chi ha presentato domanda di prestito personale per far fronte alle spese mediche aveva, all’atto della firma, mediamente, quasi 46 anni.

Si tratta di un valore significativamente più alto se confrontato con l’età media in cui, in generale, si chiede un prestito personale nella stessa regione, che secondo l’analisi di Facile-it, è pari a 41 anni.
Andando più nello specifico, quasi una domanda su 4, il 24,8%, arriva da richiedenti lombardi con età compresa tra 45 e 54 anni, seguiti da coloro che hanno un’età compresa tra i 35 e i 44 anni (20,4%).
Al terzo posto, invece, si posizionano i soggetti con un’età compresa tra 25 e 34 anni (19,3%).

Sono più le donne a presentare richiesta di un “finanziamento sanitario”

Un altro dato interessante emerge analizzando il sesso dei richiedenti. Nel 44,4% dei casi a presentare domanda di finanziamento per le spese sanitarie è stata una donna, percentuale nettamente più elevata rispetto alle richieste di prestito totali in Lombardia, dove la quota femminile di richiedenti si ferma al 29,4%.

Dall’analisi emerge anche come, sempre nell’ultimo anno, il tasso dei prestiti personali sia aumentato notevolmente. Nel 2022 il TAEG medio riservato ai lombardi che hanno chiesto un prestito personale per spese mediche è stato pari al 9,3%, valore salito al 10,6% nel 2023, in aumento del 14%.

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PA: la mala burocrazia costa il doppio dell’evasione fiscale

Lo evidenzia l’Ufficio studi della CGIA: nel rapporto ‘dare-avere’ tra lo Stato e i contribuenti, l’aggravio economico delle ‘distorsioni’ provocate dalla Pubblica amministrazione agli italiani ha una dimensione nettamente superiore alle mancate risorse dovute all’evasione fiscale.

In pratica, la mala burocrazia che attanaglia gran parte della PA provoca un danno economico ai contribuenti stimato intorno ai 184 miliardi di euro l’anno. Un importo pari a più del doppio rispetto alla dimensione dell’evasione tributaria, che secondo il Ministero dell’Economia e delle Finanze ammonta a 84,4 miliardi di euro. 

Se tutti pagassero quanto richiesto la PA avrebbe più risorse a disposizione

Di fatto, se la qualità dei servizi offerti dalla PA va assolutamente migliorata, è ancor più necessario contrastare l’evasione, ovunque si annidi.
L’infedeltà fiscale, infatti, è una piaga sociale ed economica inaccettabile che penalizza i più deboli, perché riduce la qualità e la quantità dei servizi offerti dal sistema pubblico. 

Non solo. Non è plausibile la tesi secondo la quale non pagare le tasse sarebbe ‘giustificato’ dal mal funzionamento dello Stato.
Se tutti pagassero quanto richiesto, la PA avrebbe più risorse a disposizione, probabilmente funzionerebbe meglio, e si creerebbero le condizioni anche per tagliare in misura strutturale la pressione fiscale.

L’evasione è un problema, ma la macchina pubblica deve essere più precisa ed efficiente 

Gli effetti economici dell’inefficienza della PA che gravano sulle imprese sono di fonte diversa: i dati non sono omogenei, e a volte gli ambiti di applicazione si sovrappongono.

Per tali ragioni, non si possono sommare. Ma una PA che funziona poco e male causa ai contribuenti danni economici molto superiori, addirittura più del doppio, di quanti ne subisce lo Stato da chi non compie il proprio dovere nei confronti del fisco.
Perciò, se l’evasione è un grosso problema che dobbiamo assolutamente estirpare, il vero problema per il nostro sistema Paese è mettere a punto una macchina pubblica precisa, efficace ed efficiente.

Sprechi, sperperi e inefficienze ostacolano la modernizzazione

Ovviamente è sbagliato generalizzare. Anche la nostra PA può contare su punte di eccellenza a livello centrale e locale, che nei settori della sanità, della ricerca, delle telecomunicazioni non hanno eguali nel resto d’Europa.
Tuttavia, sprechi, sperperi e inefficienze presenti nella burocrazia pubblica sono una amara realtà che purtroppo continua a ostacolare la modernizzazione del Paese. 

Tra le principali inefficienze che caratterizzano la PA, i debiti commerciali nei confronti dei propri fornitori costano 49,6 miliardi di euro, la lentezza della giustizia 40 miliardi, le inefficienze e gli sprechi presenti nella sanità sono quantificabili in 24,7 miliardi di euro, mentre gli sprechi e le inefficienze presenti nel settore del trasporto pubblico locale ammontano a 12,5 miliardi. 

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Vent’anni di moda italiana: lo stile diventa sostenibile

Cos’è la moda per gli italiani? Qual è il loro rapporto con l’abbigliamento, lo shopping e lo stile? Allo shopping come ‘coccola’ gli italiani contrappongono l’attenzione a prezzo e materiali, alla ricerca ‘dell’affare’ la sostenibilità ambientale. Dal punto di vista stilistico, in generale scelgono funzionalità e semplicità, ma se quello che negli ultimi vent’anni risulta vincente è lo stile Sex & the City, lo shopping terapeutico e di marca si sta contrapponendo al più recente Outdoor, che vince come previsione per il futuro.
Insomma, secondo la ricerca ‘2003-2023 Fashion Inside’, promossa dall’Osservatorio McArthurGlen sulla moda nel retail fisico, condotto da BVA Doxa in collaborazione con BRAND JAM, tra gli italiani e la moda l’equazione è complessa ma affascinante.

Lo shopping migliora l’umore, di più se è un affare

Gli atteggiamenti nei confronti della moda evidenziano una dualità di fondo tra i consumatori, che oscillano tra slancio emotivo e razionalizzazione. La moda è infatti un modo per esprimere la propria individualità (52%), lo shopping migliora l’umore (44%), contribuisce ad aumentare l’autostima (35%) ed è un modo di prendersi cura di sé (48%). Ma accanto a questo contesto decisamente emotivo, convivono alcuni aspetti più razionali, primo fra tutti l’attenzione ai prezzi. Per riuscire a ‘fare l’affare’ (59%) si fanno ‘ricerche’ e ‘confronti’ (55%) e si va alla ricerca di capi di buona qualità a prezzi accessibili (52%). La razionalità emerge anche nella scelta di capi: si preferisce un abbigliamento comodo e funzionale rispetto all’inseguire l’ultima moda (59%). La ricerca di un equilibrio che garantisca un look adatto e originale rimane comunque fattore di soddisfazione.

La sostenibilità passa per i Designer Outlet 

Anche nella moda e nello shopping si afferma in modo piuttosto evidente un richiamo ai temi di sostenibilità. L’acquisto di collezioni precedenti e di seconda mano è un mezzo per ridurre l’impatto ambientale (45%), e l’attenzione alla composizione dei materiali è elevata (38%). L’attenzione alla sostenibilità è rilevante in generale, e si rivolge anche alla seconda vita delle collezioni proposte dei Designer Outlet, a cui oltre ai prezzi vantaggiosi, viene riconosciuto in misura significativa un posizionamento vicino ai temi della sostenibilità (4%). In ogni caso, il negozio fisico rimane centrale come luogo esperienziale dove potere toccare con mano il prodotto, Ma soprattutto, premiarsi con la disponibilità immediata del capo.

Natural Chic e Minimalista vs New Romantic

Tra gli stili, quelli che piacciono di più e che si ritengono più adatti a sé sono Natural Chic (51%) e Minimalista (40%). La donna conferma la preferenza per il Natural Chic, mentre l’uomo tende ad apprezzare di più lo stile Street Active, insieme alla GenZ, che si sbilancia esprimendo una preferenza maggiore per stili quali Femme Fatale e Material Girl/Rocker. Andando oltre il proprio gradimento personale, gli stili che secondo gli italiani meglio interpretano la rappresentazione comune della moda contemporanea sono lo Street Active e il Natural Chic. Particolarmente d’accordo con questa tendenza i giovanissimi della GenZ, che citano tra gli stili più rappresentativi anche il Minimalista, andando invece e sminuire il ruolo del New Romantic/Dandy, più citato da Millennials e GenX.

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Sindrome post-vacanze: quando il rientro al lavoro è stressante

Per 9 lavoratori su 10 rientrare in ufficio dopo le ferie ha un impatto negativo sul benessere. Secondo un’indagine condotta da The Adecco Group, il 46% sperimenta questo disagio per quasi una settimana, mentre per quasi 1 lavoratore su 5 (19%) i sintomi persistono per un periodo ancora più prolungato. Per il restante 25%, invece, il disagio si attenua entro 1 o 2 giorni dal rientro.
Se le vacanze estive rappresentano per la maggior parte degli italiani un’occasione per staccare dalla routine quotidiana, dedicandosi al relax, senza obblighi né orari, il rientro al lavoro dopo le ferie può infatti risultare complesso e faticoso. E può causare addirittura la cosiddetta ‘sindrome post-vacanze’.
Al fine di evitare questo disturbo, Lidia Molinari, People Advisor Director di Adecco, propone alcuni suggerimenti per prepararsi a un rientro al lavoro senza stress.

Anticipare la routine

Anzitutto, riprendere la propria routine con anticipo. Chi, ad esempio, ha approfittato delle vacanze per fare un viaggio dovrebbe programmare il rientro a casa alcuni giorni prima di tornare in ufficio.
Avere tempo per adattarsi nuovamente alla routine permetterà di potersi riposare, sistemare le incombenze personali, mettere in ordine la casa, riprendendo il ritmo per affrontare al meglio le giornate lavorative. Se poi durante le vacanze si sono modificati gli orari abituali, sarà importante ripristinare gradualmente i cicli sonno-veglia. Questo aiuterà ad abituarsi al ritmo di lavoro senza vivere un cambio repentino. Inoltre, una volta ricominciata la routine quotidiana, alzarsi prima del solito per andare in ufficio permetterà di avere più tempo per affrontare la giornata senza fretta e senza ansie.

Pianificare il carico di lavoro con le giuste priorità

Una volta ritornati al lavoro, durante i primi giorni il consiglio è di concentrarsi su compiti più leggeri e meno impegnativi, in modo da rientrare gradualmente nel ‘trantran’ lavorativo senza sentirsi sopraffatti dal carico di lavoro. Organizzare le proprie giornate, stabilire obiettivi realistici e dare priorità alle attività permetterà di tenere sotto controllo l’ansia evitando di sentirsi sotto pressione per il carico di lavoro accumulato. Fondamentale, inoltre, ricordarsi di concedersi momenti di riposo, assicurandosi pause regolari. Questo aiuterà a rilassarsi, ricaricare le energie e ridurre lo stress accumulato.

Iniziare un nuovo progetto e sviluppare nuove competenze

Riprendere il dialogo con i propri colleghi e con il proprio responsabile permetterà di allinearsi sui vari progetti e compiti lasciati in sospeso durante le ferie, evitando sorprese e contenendo i livelli di ansia. Al contempo, continuare a nutrire le relazioni con i collaboratori aiuterà a migliorare l’umore, l’entusiasmo e la motivazione per il proprio lavoro. Anche iniziare un progetto personale o professionale in grado di entusiasmare renderà la routine più sopportabile, e favorirà lo sviluppo di nuove abilità. Come, ad esempio, iscriversi a lezioni di cucina, imparare a suonare uno strumento, o intraprendere corsi di formazione professionale ad hoc.

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Vacanze: nel 2023 quasi 9 milioni di italiani non partiranno

Quest’anno tanti italiani non potranno permettersi di andare in vacanza. Il motivo principale è legato alla scarsa disponibilità economica. Secondo l’indagine commissionata da Facile.it all’istituto di ricerca EMG Different, tra chi ancora è indeciso e chi già è sicuro di non fare le valigie, sono infatti quasi 9 milioni gli italiani che come motivo delle mancate ferie indicano i problemi economici. Soprattutto gli appartenenti alla fascia anagrafica 35-44 anni. tra loro, il 64,3% (1,6 milioni) resterà appunto a casa per motivi economici. Per il 59,5% di chi non partirà per ragioni economiche (oltre 5 milioni) a incidere è l’aumento generalizzato dei prezzi. Dato che raggiunge il 69,4% tra i 45-54enni. In pratica, quasi 7 italiani su 10 in questa fascia di età rinunceranno alle vacanze perché in difficoltà.

Costi legati ai viaggi, imprevisti, perdita del lavoro

A livello territoriale, invece, sono gli abitanti del Sud Italia (59,1%) e delle Isole (60%) coloro che in percentuale rinunceranno in misura maggiore alla partenza a causa di difficoltà economiche.
Il 35,8% di chi resterà a casa per ragioni economiche, inoltre, rinuncerà a causa degli incrementi dei costi legati al viaggio, soprattutto i giovani. Più di uno su 2 (53,8%) appartenente alla fascia 18-24 anni ha dato questa motivazione. Il 26,4%, poi, si trova in una situazione di difficoltà economica a causa di un imprevisto (33,3% tra i 25-34enni e gli abitanti del Nord Est e delle Isole), mentre il 22,3% a seguito della perdita del proprio lavoro o di un membro della famiglia. La percentuale è più alta nel Nord Ovest (35,3%) e al 36,8% per gli intervistati di età compresa tra 55-64 anni.

C’è anche chi non ha ferie e chi deve accudire un anziano

Oltre alle motivazioni economiche, sono anche altre le ragioni per cui tanti italiani non si concederanno una vacanza. Il 17,2% (2,9 milioni) andrà in vacanza durante un altro periodo dell’anno, percentuale che sale al 19,4% tra i 25-34enni e al 23,3% tra i residenti nel Nord Est, arrivando al 32,7% per gli appartenenti alla fascia anagrafica 65-74 anni. Il 12%, invece, non avrà ferie, soprattutto i più giovani (18,2% 18-24enni e 27,8% 25-34enni), mentre l’11% non potrà partire perché deve accudire persone anziane. In questo caso sono principalmente coloro di età compresa tra 55-64 anni (19,7%).

Il Covid fa ancora paura

Il 9,5%, poi, non partirà per curare il proprio animale (13,3% tra i 45-54 anni e 14,3% nelle Isole). E più di 400mila staranno a casa per paura di contrarre il Covid.
Se a livello nazionale la percentuale di chi quest’anno sicuramente non partirà per le vacanze estive è pari al 16,9%, il dato arriva al 19,1% tra chi ha un’età compresa tra 45-54 anni, mentre a livello territoriale sono gli abitanti del Centro Italia (21%) coloro che rinunceranno in misura maggiore alle ferie. Tra coloro che non sanno ancora se partiranno o meno, oltre 9,3 milioni di connazionali (22%), i più indecisi sono i 65-74enni (27,2%) e i residenti nelle Isole, dove la percentuale raggiunge il 26%.

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La Rivoluzione sostenibile è anche nella spesa: meno junk food più bio

Oggi gli italiani comprano il 10,5% in più di alimenti sostenibili certificati, il 7,5% in più di alimenti biologici e a km zero, e riducono i cibi pronti e confezionati del 5,2%. Quanto ai cosiddetti prodotti ‘junk food’, ovvero i cibi spazzatura, gli italiani nel carrello ne infilano il 4,4% in meno.
La conferma arriva dai risultati del rapporto ‘La (R)evoluzione sostenibile della filiera agroalimentare’, presentato durante il 7° forum dal titolo ‘La Roadmap del futuro per il Food&Beverage: quali evoluzioni e quali sfide per i prossimi anni’, organizzato da The European House-Ambrosetti.
Insomma, la spesa degli italiani diventa sempre più ‘sana’ e sostenibile. Il carrello del post-pandemia degli italiani punta infatti soprattutto sulla qualità della propria spesa alimentare.

Disposti a spendere di più se anche il packaging è sostenibile

Per il 73% dei consumatori un prodotto è sostenibile quando il suo processo di produzione è sostenibile. Subito dopo conta la sostenibilità del packaging (40,3%), e l’80% dei consumatori è disposto a spendere un po’ di più per acquistarlo. Oltre un terzo spenderebbe meno del 5% in più, mentre poco meno del 5% è disposto a spendere oltre il 30% in più. Secondo la ricerca, anche per le imprese un prodotto diventa sostenibile soprattutto nella sua fase di produzione: lo sostiene il 38,9% delle 500 aziende del settore Food&Beverage coinvolte. Ma per molte aziende (32,3%) è invece l’alta qualità delle materie prime il fattore principale di sostenibilità. Di fatto, nei piani dei prossimi 3-5 anni le aziende dichiarano di voler dedicare maggiore attenzione soprattutto alla sostenibilità della produzione (12,7%) e alla riduzione degli sprechi (13,7%).

Attenzione allo spreco e al benessere

“L’adozione di comportamenti più sostenibili nel carrello della spesa può anche essere un efficace contrasto all’attuale rincaro dei prezzi agroalimentari – ha spiegato Benedetta Brioschi, Associate Partner e Responsabile Food&Retail, The European House-Ambrosetti -. I consumatori italiani si comportano in base alle rispettive disponibilità economiche: le famiglie meno abbienti si sono orientate verso la riduzione degli sprechi alimentari nel 17,4% dei casi, quelle famiglie più abbienti, invece, acquistano maggiormente prodotti che possano salvaguardare il proprio benessere nel 33,3% dei casi”.

In pochi però seguono la dieta mediterranea

“Le abitudini d’acquisto stanno cambiando con una graduale e maggiore attenzione ai temi della salute – ha aggiunto Benedetta Brioschi -, ma nel Paese bisogna ancora lavorare sugli aspetti culturali: solo il 17,3% dei cittadini sa che la dieta mediterranea prescrive il consumo di almeno 5 porzioni giornaliere di frutta e verdura. E solo il 5% mette in pratica questi dettami, anche se siamo i primi esportatori di alcuni prodotti alla base di questo tipo di alimentazione”.

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Dove ci si sposa di più in Italia nel 2023? A Napoli, Roma e Milano

Quali sono le città italiane in cui si respirerà più aria di fiori d’arancio nel 2023? La stagione nuziale è alle porte, e ogni città italiana si sta preparando a ospitare un elevato numero di celebrazioni. Le coppie italiane sono quindi alle prese con l’organizzazione e la definizione degli ultimi dettagli per rendere indimenticabile il loro grande Sì. E per questa occasione, Matrimonio.com, portale del settore nuziale in Italia e parte del gruppo The Knot Worldwide, ha stilato la classifica delle 10 città italiane che si preparano a celebrare più nozze nel 2023. Secondo la Top 10 basata sulle coppie iscritte a Matrimonio.com, il primo posto spetta a Napoli, con il 7,9% di matrimoni previsti nel 2023, seguita sul podio da Roma (7,3%) e Milano (4,4%).

Matrimoni: +5% rispetto al 2019

Il 2023 sarà un anno molto positivo per i matrimoni, in cui è previsto un aumento del 5% rispetto al 2019, l’ultimo anno di ‘normale attività’ del settore prima della pandemia. E al 4° posto della Top 10 delle città con più matrimoni si posiziona Palermo (3,4%), a cui seguono Bari (3,3%), Torino (3,1%) e Catania (2,6%). All’8° un’altra città del Sud, questa volta campana, Salerno (2,3%), così come la città al 9° posto, Caserta (1,9%). Chiude la classifica la lombarda Brescia (1,8%). Da Nord a Sud, seguono anche altre città, come Bergamo (1,7%), Lecce (1,6%), Firenze (1,5%) e Verona (1,4%).

Le date top dei fiori d’arancio: 24 giugno e 9 settembre

L’estate rimane, senza dubbio, la stagione preferita dalle coppie italiane per sposarsi. Ecco che infatti nella Top 5 dei mesi preferiti per le nozze di quest’anno le coppie eleggono giugno (24,8%), poi settembre (24,5%), luglio (14,9%), maggio (13,4%) e agosto (7,7%). Quanto ai giorni più gettonati dagli sposi di Matrimonio.com, sono in particolare il 9 settembre (3,7%), il 24 giugno (3,7%), il 2 settembre (3.5%) il 10 giugno (3,4%) e il 3 giugno (3,2%). Tutte date che cadono il sabato.

Un aiuto a organizzare il giorno più felice della propria vita

Matrimonio.com è un portale parte del gruppo di riferimento del settore nuziale, The Knot Worldwide, pensato per aiutare gli sposi a organizzare il giorno più felice della loro vita. Grazie alla sua presenza internazionale ha creato la community nuziale e il mercato virtuale di nozze su Internet più grandi a livello mondiale. Dispone di un database con oltre 700.000 professionisti del settore nuziale, e offre alle coppie strumenti per preparare la lista di invitati, gestire il budget, trovare fornitori, e tanto altro ancora.

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Perchè le emoji sono sempre più utilizzate anche in ambito lavorativo?

Secondo un sondaggio condotto da Skebby.it su un campione rappresentativo di mille individui, il 42% delle persone utilizza le emoji anche nelle comunicazioni di lavoro. Le emoji, nate alla fine del secolo scorso per i primi clienti di telefonia mobile giapponesi, sono diventate sempre più popolari grazie all’uso diffuso degli smartphone e dei social media. Inizialmente utilizzate per esprimere emozioni e stati d’animo nelle conversazioni con amici o familiari, le emoji hanno travalicato i confini del ligure. Oggi infatti hanno guadagnato un posto di rilievo anche nelle conversazioni di lavoro. Il sondaggio ha rilevato che il 3% degli intervistati utilizza le emoji anche nelle e-mail inviate ai clienti e ai partner commerciali.

Il successo delle emoji va di pari passo con quello del mobile messaging

La crescente popolarità delle emoji nel mondo professionale non sorprende, dato che il mobile messaging sta diventando sempre più importante per la comunicazione efficiente tra colleghi, clienti e fornitori. Inoltre, gli SMS stanno vivendo una seconda giovinezza nel mondo del business, dove vengono impiegati per inviare promemoria di appuntamenti, conferme di spedizioni, password temporanee, comunicazioni di marketing e altro ancora. Anche in questi contesti, le emoji possono essere utili per rendere i messaggi più coinvolgenti ed efficaci. Tuttavia alcuni ritengono che le emoji in ambito lavorativo possano essere poco professionali e che soprattutto possano causare malintesi. È quindi importante fare attenzione a come si utilizzano le emoji e ad assicurarsi che siano appropriate per il contesto e la persona con cui si sta comunicando. 

Immancabili nelle conversazioni private

Non sorprende che le emoji siano ancora più popolari nelle conversazioni private. Il sondaggio fa emergere che sia ben il 77% del campione ad avvalersene nelle conversazioni con la famiglia e addirittura l’84% nelle comunicazioni con gli amici. Soltanto il 7% degli intervistati ha dichiarato di non utilizzare mai le emoji. 

Le emoji sono diventate una parte essenziale della comunicazione moderna

Domitilla Cortelletti, Marketing Manager di Skebby.it,  piattaforma che offre servizi professionali di mobile marketing & service, ha commentato: “Le emoji sono diventate una parte essenziale della comunicazione moderna, e non sorprende che abbiano trovato un posto anche nelle conversazioni di lavoro. Inoltre, grazie alla loro capacità di rendere i messaggi più coinvolgenti ed efficaci, le emoji possono essere utilizzate anche in contesti commerciali per migliorare la comunicazione con i clienti e i partner commerciali”.

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Gli italiani mangiano bene, ma fanno poca attività fisica

Nella cultura italiana della cucina il pasto è un momento importante. Di fatto, dall’ultimo sondaggio Ipsos condotto in occasione della Giornata Mondiale dell’Obesità, per due persone su cinque il pasto rappresenta un momento di convivialità e condivisione, e un altro 20% lo descrive come un momento gioioso e felice della giornata. Sul lato alimentazione, italiani e italiane adottano uno stile piuttosto equilibrato, ma nonostante si rilevi un’alimentazione sommariamente corretta da parte di tutte le fasce di età, la situazione è peggiore in tema di attività fisica: 2 persone su 5 dichiarano infatti di fare attività fisica raramente durante la settimana.

No a cibo spazzatura, sì a frutta e verdura

Di contro, durante la settimana, a malapena una persona su dieci consuma junk-food/cibo preconfezionato con scarsi valori nutrizionali e alto contenuto calorico, un 25% che dichiara di mangiarlo solo qualche volta al mese e un altro 20% dichiara di mangiarlo raramente. Più frequente risulta il consumo di frutta e verdura. Una persona su due dichiara di mangiare verdura/ortaggi almeno una volta al giorno, e un terzo almeno qualche volta a settimana. I Millenials risultano ‘meno’ inclini al suo alto consumo (solo il 34% dichiara di mangiarla almeno una volta al giorno). Allo stesso modo, due persone su tre dichiarano di mangiare una porzione di frutta almeno una volta al giorno. I Millenials mostrano un consumo giornaliero più basso (36%), seguiti dalla Generazione Z (39%).

Lo sport, questo semi sconosciuto

Il quadro cambia sul versante dell’attività fisica. In particolare, due persone su cinque affermano di muoversi a piedi, mentre quasi una su due usa la macchina per spostarsi. Invece, i mezzi pubblici (4%) e la bicicletta (6%) non sembrano essere i mezzi preferiti per gli spostamenti. E tutti gli aspetti positivi inerenti all’alimentazione perdono di significatività quando si arriva a parlare di attività fisica sportiva. Risulta, infatti, che più di due persone su cinque pratichino raramente attività sportiva e solo una su cinque afferma di farla due/tre volte alla settimana.

La consapevolezza è solo alimentare

Si può affermare, quindi, che probabilmente in Italia vi è consapevolezza dell’importanza di un’alimentazione corretta. Si tratta di una consapevolezza proveniente, presumibilmente, dalla nostra storia culinaria e dal nostro rapporto stretto con la cucina, ma che può portare con sé una difficoltà maggiore nell’ammettere di non riuscire a seguire una dieta sana. Di fatto, tra coloro che si dichiarano in sovrappeso, il 50% afferma di non praticare attività sportiva anche se le abitudini alimentari risultano sommariamente equilibrate. Forse, allora, è arrivato il momento di iniziare a portare più al centro dell’attenzione l’importanza che l’attività fisica e sportiva gioca nella nostra salute.

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Nel 2023 cibo e salute guidano i consumi degli italiani

Nel 2023 i consumatori italiani rinunceranno al superfluo per garantirsi l’essenziale, con cibo e salute in cima alla lista delle priorità. Secondo i risultati di due survey condotte a dicembre 2022 dall’Ufficio Studi Coop, gli italiani si affacciano sul nuovo anno con una inattesa tempra emotiva. Se nel 33% dei casi nei confronti del 2023 mostrano timore, e nel 22% inquietudine, prevalgono fiducia (39%) e aspettativa (38%). Inoltre, nel complesso gli italiani mostrano un senso di accettazione della realtà (28%) e serenità interiore (34%). Circa un italiano su due nel 2023 spera di mantenere stabili le spese familiari, ma il 45% conta di spendere di più per le bollette, e il 32% per cibo e bevande, rinunciando all’outdoor, ai viaggi e alla convivialità.

Diete più sobrie, salutari, “zero waste” e “no frills”

Per far fronte all’aumento dei prezzi l’80% cambierà le abitudini alimentari orientandosi verso diete più salutari e meatless, più sobrie e certamente ‘zero waste’ e ‘no frills’.  Malgrado tutto, il 26% del campione continua a vedere l’anno appena iniziato con speranza, e rispetto a quattro mesi fa la fiducia è salita del 12%. Tuttavia gli ultimi anni, e in particolare gli ultimi mesi, hanno lasciato ferite profonde: il 18% delle famiglie nel 2022 ha dovuto far fronte a un permanente disagio alimentare (circa 9 milioni) e un italiano su quattro teme la vera povertà per il 2023.

Maggiore cura di sé e fuga dal fast food

Intimoriscono soprattutto gli imprevisti, con il 66% del campione che non saprebbe come far fronte a una spesa improvvisa e non rimandabile. Il 70%, poi, se disponesse all’improvviso di 10mila euro, non esiterebbe a dirottarli nel salvadanaio. In generale si punta ad adottare un lento lifestyle concentrandosi sulla cura di sé (29%), cucinare in casa (29%) e fuga dal fast food (15%).
Quanto ai consumi, il ritorno alle spese essenziali andrà a scapito di ristoranti e locali, spettacoli e cultura (rispettivamente 32% e 26%). E per i beni durevoli si pensa a cambiare gli elettrodomestici, ma si rinvia l’acquisto della nuova auto, e il 67% pensa a una ristrutturazione dell’abitazione.

Preoccupano i risultati economici della filiera alimentare

Il sondaggio rileva inoltre che grazie soprattutto alla parziale riduzione dei prezzi del gas, il 2023 sarà un anno di stagnazione, ma non di decrescita, con un carovita ancora sostenuto, ma inferiore al 2022 (+6,1%). A preoccupare maggiormente sono però soprattutto i consumi e i risultati economici della filiera alimentare. L’inflazione dei beni alimentari lavorati, riporta Ansa, resterà elevata (+6,7% medio nel 2023 secondo i manager italiani del settore Food & Beverage), si ridurranno i volumi acquistati dalle famiglie nella Gdo (-0,9%), e si conferma il peggioramento della redditività delle imprese industriali, soprattutto distributive (lo teme il 66% dei manager del settore). Con conseguente calo degli investimenti (37%) e ricadute anche sul fronte occupazionale (27%).

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