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Benessere organizzativo e competenze nella PA e nelle aziende: quanto contano?

Dopo la pandemia un’azienda su due ha concesso lo smart working per migliorare il benessere dei propri dipendenti, Inoltre, il 61% delle aziende ha introdotto attività di cambiamento, sviluppo o revisione su organigramma e ruoli organizzativi, il 44% è intervenuto sui sistemi informativi, e più di un terzo ha modificato processi, procedure e competenze. Il contesto congiunturale è complesso, e le ricadute sulla società hanno modificato l’approccio delle aziende italiane verso la definizione di nuovi modelli organizzativi e di lavoro. Si tratta di alcune evidenze emerse durante l’evento organizzato da PIESSEPI e Nomisma, in collaborazione con G.I.D.P./H.R.D.A. Gruppo Intersettoriale Direttori del Personale, dal titolo Competenze e benessere organizzativo nella pubblica amministrazione e nelle aziende.

“Un clima gravato dalle tensioni generate dal conflitto russo-ucraino”

“L’attuale andamento congiunturale è connotato da un clima gravato dalle tensioni generate dal conflitto russo-ucraino, con crescenti difficoltà di approvvigionamento di molte materie prime con implicazioni sulle catene di fornitura globali e con una pressione inflazionistica che non si registrava da decenni – commenta Silvia Zucconi, Responsabile Market Intelligence di Nomisma -. In questo scenario deteriorato, le aziende stanno subendo trasversalmente in tutti i settori l’impatto dell’inflazione, trainata soprattutto dal caro-energia, con un aumento della bolletta energetica per le imprese che si attesta a 110 miliardi di euro in più rispetto allo scorso anno”.

L’importanza di soft skill e formazione

Tra gli elementi che hanno limitato il raggiungimento degli obiettivi legati al cambiamento, un terzo degli HR indica la scarsa quantità di risorse umane dedicate allo sviluppo delle attività, il 26% ha riscontrato problemi nella comunicazione, e 1 HR su 4 ha percepito difficoltà nello sviluppo dell’organizzazione e nella gestione delle persone. Inoltre, lo scenario che si prospetta ha rimesso al centro l’importanza delle soft skill e della formazione. Quasi la metà delle aziende ha effettuato attività di formazione tecnica negli ultimi 24 mesi, il 42% ha svolto attività di formazione delle soft skill e il 23% ha intrapreso percorsi di coaching individuali. Gli aspetti che hanno limitato lo sviluppo di tali attività sono stati la scarsa quantità di risorse umane dedicate (32%), il budget economico (22%) e lo sviluppo dell’organizzazione e gestione delle persone (20%).

Smart working e servizi di welfare aziendale 

Più della metà delle aziende (54%) dichiara di aver concesso lo smart working ai propri dipendenti, il 41% di aver intrapreso iniziative volte alla sicurezza e salute dei dipendenti sul luogo di lavoro, e più di un terzo ha fornito servizi di welfare aziendale ai lavoratori (35%).  I principali ostacoli allo smart working per circa un terzo dei responsabili HR sono stati legati alla tipologia di ruolo o mansione (32%), per il 29% alla scarsa capacità del management di gestire i collaboratori, e per il 24% a limitate competenze personali in materia di organizzazione del lavoro. Tuttavia, nel complesso 8 HR manager su 10 sono oggi soddisfatti delle attività avviate negli ultimi 24 mesi per il miglioramento del benessere organizzativo dei dipendenti.

Come recuperare spazio in bagno

Recuperare spazio in bagno diventa di fondamentale importanza quando le dimensioni ridotte ci costringono a lavorare di fantasia, pur di riuscire a posizionare tutti gli elementi desiderati.

Non bisogna infatti pensare che se si dispone di una stanza da bagno piuttosto piccola sia necessario accontentarsi, ma al contrario è possibile ottenere risultati interessanti a patto di riuscire a sfruttare bene lo spazio a disposizione. Vediamo allora di seguito alcuni consigli che possono tornare utili quando si desidera recuperare dello spazio in bagno.

Sfruttare le soluzioni modulari

I mobili modulari o componibili consentono di recuperare spazio sfruttando anche gli angoli se lo desideri, e senza rinunciare per questo all’estetica.

All’interno di questi mobili potrai posizionare ogni tipo di oggetto, considerando che tali soluzioni sono anche alquanto capienti. Un’ottima base dalla quale partire dunque, per recuperare spazio e arredare secondo il tuo gusto personale.

Considera i sanitari sospesi

I sanitari sospesi sono un’ottima idea se lo scopo è quello di recuperare anche il minimo spazio disponibile nella stanza da bagno. Già per il semplice fatto di non essere a contatto con il pavimento, essi danno maggiore sensazione di ampiezza e leggerezza.

Inoltre, essendo leggermente più piccoli di quelli tradizionali, occupano meno spazio e “appesantiscono” di meno l’estetica generale della stanza.

Sostituire la vasca con una doccia

La sostituzione vasca con doccia può essere una soluzione decisiva quando si desidera recuperare spazio in bagno. Tra l’altro la doccia è molto più facile e veloce da adoperare rispetto la vasca, e consente anche di ridurre il consumo di acqua.

Se nel tuo bagno è dunque presente una vasca e desideri avere più spazio a disposizione per gli altri mobili, considera che trasformare la tua vecchia vasca in un moderno box doccia è la soluzione giusta.

Scegli un lavabo con mobile integrato

Altra opzione interessante è quella di scegliere un lavabo con mobile integrato. In questa maniera avremo recuperato dello spazio che altrimenti sarebbe rimasto inutilizzato, e grazie a tale mobile potremo disporre di un posto in più dover poter riporre la biancheria da bagno.

Inoltre tale soluzione consente di apportare un tocco di stile e design in più, dunque rappresenta anche una importante occasione per poter definire al meglio l’estetica del nostro bagno.

Cambiare l’apertura della porta

È una cosa che si dà per scontata, ma che in realtà può essere cambiata se ciò serve a recuperare spazio.

Il movimento di apertura della porta infatti, sottrae superficie utile all’intero bagno per il semplice fatto che nulla può essere posizionato onde evitare di impedirne il movimento. In questi casi dunque, soprattutto se si sta effettuando una ristrutturazione, è utile pensare ad invertire il movimento di apertura della porta del bagno verso l’esterno anziché verso l’interno.

In questa maniera si andrà a recuperare uno spazio che altrimenti sarebbe rimasto pressochè inutilizzato.

Opta per uno scaldasalviette

Un tradizionale termosifone in bagno andrebbe a sottrarre spazio utile che potresti invece sfruttare in altra maniera, ma ad ogni modo il riscaldamento è essenziale anche in questa stanza di casa. L’alternativa è allora uno scaldasalviette, che può essere posizionato anche più in alto, lasciando così più spazio a terra che puoi sfruttare come preferisci.

In questo modo avrai un elemento utile a riscaldare la stanza (così come gli accappatoi, se lo desideri) risparmiando un sacco di spazio che potrai destinare ad esempio ad un mobile in grado di contenere tanti altri oggetti o biancheria da bagno.

Conclusione

Recuperare spazio in bagno è dunque possibile, a patto di adottare alcune importanti accortezze. Vedrai che seguendo questi consigli potrai avere una bellissima stanza da bagno, pratica e funzionale al tempo stesso, senza dover rinunciare all’estetica ed al tuo stile personale.

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PMI e sicurezza informatica, il 68% non ha un piano di Disaster Recovery

Per moltissime piccole e medie aziende italiane un piano di Disaster Recovery non è un’opzione, nemmeno per il futuro. Lo rivela una recente ricerca condotta da Bva Doxa per Aruba sul tema della conservazione e sicurezza dei dati, e, nello specifico, sulla disponibilità di piani di Disaster Recovery nelle PMI del nostro paese. Più nel dettaglio, l’analisi evidenzia che il 68% delle piccole e medie aziende italiane non è intenzionata ad adottare una soluzione di Disaster Recovery neanche nel lungo periodo. Ma è possibile prevenire un evento disastroso in ambito IT o un cyber-attacco? Non sempre, ma sicuramente è possibile limitarne i danni. Ancor più nel 2022 si conferma un nuovo approccio che vede il Disaster Recovery non più come un piano B ma come una componente basilare da considerare in fase di progettazione. Ripristinare l’accesso e la funzionalità dell’infrastruttura IT a causa di attacchi informatici, interruzioni e guasti, rappresenta per le aziende la soluzione “as a service” più importante da implementare per garantire la propria business continuity. Eppure, il 73% delle PMI italiane non è dotata di un piano di Disaster Recovery.

Solo 1 azienda su 4 si è “attrezzata”

Poco più di un’azienda su 4 è dotata di un piano di Disaster Recovery, con un’incidenza leggermente più elevata riscontrata tra le medie imprese (31%). Più incoraggianti i dati legati al segmento degli esercizi pubblici, quali alberghi, ristoranti e bar: in questo settore a disporre di un piano di Disaster Recovery è il 49% degli intervistati.
Stando ai risultati della ricerca, il 68% delle PMI intervistate non è interessato ad introdurre piani per il ripristino dei dati neanche nel lungo periodo. Di queste, l’80% delle piccole imprese non pianifica l’adozione di un sistema di Disaster Recovery neanche nel prossimo futuro, a fronte del 53% delle medie imprese. Eppure, come già reso noto in una recente Survey targata BVA Doxa-Aruba, 7 aziende su 100 hanno sperimentato una perdita di dati nel corso degli ultimi anni, subendo in media un downtime di quasi 2 giorni e con danni economici non quantificabili per il 43% degli intervistati. Tra l’altro dalla stessa indagine è emerso che una PMI su 4 dichiarasse di non disporre neanche di una soluzione di backup; attestando, invece, al 57% la percentuale di aziende dotate di un backup in cloud.

La differenza fra Backup e Disaster Recovery

“Backup e Disaster Recovery hanno due scopi profondamente diversi ma al contempo complementari. Il primo mira a salvaguardare il dato in seguito a cancellazioni, errori umani o in generale perdita dati. Il secondo protegge il sistema nel suo complesso, compreso il sito di erogazione, garantendo una ripartenza in tempi certi ed in qualunque circostanza, anche a seguito di disastri ambientali o catastrofici, andando quindi oltre il concetto di dato ed includendo invece tutto quello che gli orbita intorno – spiega Lorenzo Giuntini, CTO di Aruba – Visti i pericoli, anche potenzialmente disastrosi, a cui si espone un’azienda priva di questi servizi, la strategia più corretta per la sua tutela è quella di implementare entrambe le soluzioni. Per farlo non esiste un’unica via: la scelta delle soluzioni e delle modalità più adatte passa attraverso un’attenta analisi dei rischi, la classificazione dei dati e la definizione del perimetro di protezione. Solo in questo modo è possibile costruire l’infrastruttura più adeguata a garantire e ad assicurare la continuità operativa aziendale in ogni condizione.”

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Rincari e finanziamenti più gravosi mettono a rischio le imprese lombarde

La tensione sui rifornimenti energetici già preannunciata a fine 2021 è stata esacerbata dalle conseguenze del conflitto in Ucraina, con forti rincari per tutti i prodotti, soprattutto il gas. Lo confermano le imprese lombarde, che già nel secondo trimestre dell’anno segnalano rincari compresi tra il 40% e il 50% per gas ed elettricità nella maggior parte dei settori. Il focus di approfondimento di Unioncamere Lombardia su approvvigionamento energetico e accesso al credito per i principali settori economici lombardi riporta quindi segnali di preoccupazione per la tenuta della fase di crescita innescata nel 2022. Questo, nonostante il secondo trimestre dell’anno abbia ancora registrato andamenti positivi.

L’industria è penalizzata da settori fortemente energivori

La situazione è più grave nell’industria manifatturiera, dove il costo del gas è sostanzialmente raddoppiato (+98,9%), mentre quello dell’elettricità cresce del +73,5%.
Il comparto industriale è infatti penalizzato da settori fortemente energivori, per i quali i rincari hanno assunto dimensioni eccezionali. La siderurgia registra a luglio variazioni di costo pari al +143% per il gas e +107% per l’elettricità, ma anche il tessile (+157% e +90%) e gli alimentari (+142% e +85%) mostrano incrementi molto rilevanti. Nel terziario si evidenziano in generale rincari inferiori, ma sempre ben al di sopra dell’inflazione, a eccezione di alberghi e ristoranti, dove i prezzi di gas ed elettricità sono aumentati del +76% sua base annua.

Il terziario è ancora poco autosufficiente

Per quanto riguarda l’autosufficienza, l’industria si rivela il settore più maturo nel percorso verso l’autonomia energetica. Un terzo delle imprese industriali (34%) è in grado di produrre almeno in parte l’energia di cui deve approvvigionarsi per le proprie attività, mentre negli altri settori la presenza di impianti è nettamente inferiore (21% per il commercio al dettaglio, 14% per l’artigianato, 12% per i servizi). L’impennata dei costi energetici si innesta su una situazione economica resa ulteriormente critica dall’aumento dei tassi di interesse, innescato dalle politiche restrittive messe in atto dalle banche centrali per contrastare l’inflazione.

Peggiorano le condizioni applicate per l’accesso al credito

Dal lato dell’accesso al credito, le imprese segnalano in particolare una crescita delle spese connesse alla richiesta di prestiti. In tutti i settori circa il 50% del campione registra un peggioramento per le condizioni applicate, tassi sui prestiti e costi complessivi del finanziamento. Occorre ricordare però come negli ultimi anni le imprese lombarde abbiano intrapreso un percorso di consolidamento dal punto di vista finanziario, che consente agli imprenditori di mantenere ancora una fiducia elevata nella propria capacità di far fronte al debito. La percentuale di intervistati che esprime preoccupazione su questo aspetto rimane minoritaria, con l’artigianato che registra i valori più critici (livello di preoccupazione pari a 33%), seguito dai servizi (25%) e dal commercio al dettaglio (25%), mentre le imprese industriali si confermano più solide (21%).

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L’eccesso di social media? Può portare alla depressione

Sono parole forti quelle usate nello studio recentemente pubblicato su Journal of Affective Disorders Reports: un utilizzo eccessivo di social media potrebbe portare alla depressione. La ricerca afferma, senza girarci intorno, che “i giovani adulti che utilizzano più social media hanno una probabilità significativamente maggiore di sviluppare depressione entro sei mesi, indipendentemente dal tipo di personalità”.
 “Precedenti ricerche hanno collegato lo sviluppo della depressione a numerosi fattori”, spiegano gli autori, studiosi dell’Università dell’Arkansas. “Tuttavia, la letteratura è carente di studi incentrati su come le varie caratteristiche della personalità possano interagire con l’uso dei social media e la depressione”. 

Oltre 1.000 giovani americani coinvolti nella ricerca

La ricerca ha coinvolto oltre 1.000 adulti statunitensi di età compresa tra i 18 e i 30 anni, con dati raccolti dal 2018.  La depressione è stata misurata utilizzando il Patient Health Questionnaire. Per quanto riguarda l’utilizzo dei social media, ai partecipanti all’indagine è stato chiesto per quanto tempo giornalmente utilizzassero le piattaforme social. La personalità e lo stato psicologico sono stati giudicati con il Big Five Inventory, che ha valutato l’apertura, la coscienziosità, l’estroversione, la gradevolezza e il nevroticismo.
In sintesi, gli autori suggeriscono che un confronto social problematico o conflittuale può aumentare i sentimenti negativi su se stessi e sugli altri, il che potrebbe spiegare come il rischio di depressione aumenti con un maggiore utilizzo dei social media. Seguire in particolare contenuti negativi può anche accrescere tali sentimenti. Infine, utilizzare molto i social media riduce le opportunità di interazioni e attività di persona fuori casa.
La depressione è stata considerata la principale causa di disabilità e mortalità in tutto il mondo. Ciò rende questi risultati ancora più significativi per la creazione di interventi sanitari e azioni di prevenzione.
“I risultati di questo studio sono importanti in un periodo di espansione e integrazione tecnologica”, hanno affermato i ricercatori. “Connettersi virtualmente con le persone può aumentare il rischio di problemi di comunicazione, o dare adito a forme errate di percezione, che portano inevitabilmente a difficoltà relazionali e al potenziale pericolo di sviluppare problemi di salute mentale”.

Bisogno di empatia e di gentilezza

“Le persone hanno bisogni emotivi innati per le relazioni sociali”, hanno spiegato gli studiosi. “Ad esempio, le esperienze sui social media possono essere migliorate acquisendo una maggiore consapevolezza di quello che sono le nostre emozioni e i nostri rapporti con gli altri in varie circostanze della vita. Nonostante le nostre differenze, abbiamo la capacità di creare una cultura di empatia e gentilezza”.

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Moda etica: le aziende sopravvalutano il loro impegno green

Quali sono le pratiche rilevanti in ambito sostenibilità per un brand di moda? Lo spiega Cikis nel suo Report Moda e Sostenibilità 2022, che raccoglie insight qualitativi e dati strutturati di 48 brand e 47 aziende della filiera italiana della moda con fatturato superiore a 1 milione di euro. Dall’analisi emerge però che oggi fare la raccolta differenziata e cambiare packaging non è più sufficiente. Sono pratiche che se non associate ad altri cambiamenti hanno poco peso sull’impatto ambientale e sociale complessivo. Se infatti da un lato aumentano le aziende di moda che investono in scelte green, dall’altro nel 2022 diminuiscono del -15,2% quelle che si trovano a un livello avanzato di sostenibilità. 

Una parziale consapevolezza sull’importanza della scelta dei materiali

Inizia a emergere una parziale consapevolezza sull’importanza della scelta dei materiali: il 48% delle aziende dichiara di aver introdotto o incrementato l’utilizzo di materiali a ridotto impatto ambientale o che tutelano i diritti sociali, ma solo il 16,8% li ha integrati per più del 75% sulla collezione totale, e il 47,4% li ha introdotti per meno del 25%. Ancora poco sentita poi è l’importanza dell’economia circolare, citata come priorità solo dal 7,4% delle aziende, e pochissime (2%) investono in compensazione delle emissioni. Se però si parla di tutela dei lavoratori e welfare aziendale la sensibilità è in aumento. Gli investimenti in ambito sociale salgono al 40% (+66,7% rispetto al 2021).

Una percezione sbagliata del proprio livello di sostenibilità

Il 60% delle aziende però ha una percezione sbagliata del proprio livello di sostenibilità, e il 22,1% si sopravvaluta. Se l’autovalutazione media delle aziende di livello base sul proprio operato green nel 2021 si attestava a 4,5 punti su 10, quest’anno è salita a 6 su 10. Per queste aziende c’è un alto rischio greenwashing, dovuto appunto alla sopravvalutazione della rilevanza delle pratiche implementate. Un esempio virtuoso è invece rappresentato dalle grandi aziende, che registrano una maggiore percentuale di pratiche rilevanti per via di maggiori disponibilità finanziarie e filiere molto più complesse. In queste aziende infatti è presente un team dedicato alla transizione sostenibile, in grado di gestire un numero maggiore di pratiche sostenibili e con maggiore efficacia.

Investire green genera un ritorno positivo

Il 63% delle aziende dichiara che le scelte green sono state un investimento che ha generato un ritorno positivo. Di queste, il 59% ha ottenuto il ritorno economico entro tre anni dall’implementazione delle nuove norme. La percentuale di aziende che dichiara un ritorno positivo aumenta drasticamente fra quelle che hanno scelto di rivolgersi a esperti e consulenti di sostenibilità: avere accesso a competenze esterne permette di ottenere con maggiore probabilità benefici economici, o di immagine, che superano l’investimento effettuato. L’81% delle aziende che si sono affidate a consulenti esterni ha infatti ottenuto un ritorno positivo dell’investimento, riuscendo anche a raggiungere alti livelli di sostenibilità con maggiore facilità. Ma solo il 16,3% delle aziende che si affida a consulenti specializzati si trova a un livello base.

L’importanza del fattore di caduta

Il fattore di caduta è un parametro fondamentale quando si vuole andare a determinare quali siano le forze che agiscono su un corpo nel momento in cui una caduta viene arrestata. Tale fenomeno è detto appunto “fattore di caduta” ed il suo studio è certamente fondamentale in qualsiasi tipo di ambiente in cui vengano effettuati dei lavori come quelli presenti in un cantiere.

Esso è comunque un termine ampiamente adoperato in alpinismo ed indica quanto sia seria una caduta nel corso dell’arrampicata, ma tale fattore viene considerato anche in cantiere ed in qualsiasi luogo in cui si facciano dei lavori in quota.

Tecnicamente, possiamo dire che il fattore di caduta è dato dal rapporto tra la quota che la persona perde nel corso della caduta e l’esatta lunghezza della corda tra la persona stessa ed il punto in cui egli è assicurato. Chiaramente, minore è il valore calcolato del fattore di caduta, minore saranno le forze in gioco che saranno assorbite dal corpo della persona e per questo motivo la sua caduta sarà meno dolorosa.

Al contrario, maggiore è il valore e maggiori saranno le forze che agiscono sul corpo della persona che cade e dunque aumenteranno le probabilità che questi posso andare incontro ad un infortunio. Chiaramente con il fattore di caduta non si va a determinare con esattezza quella che sarà la forza di impatto, ma è semplicemente un modo che ci consente di stabilire quella che sarà la gravità di una caduta.

I sistemi di protezione anticaduta

Proprio per garantire la sicurezza di tutti i lavoratori i quali prestano, sia occasionalmente che in maniera costante, la propria opera ad una certa altezza dal suolo, è necessario che vengano predisposte tutte le misure di sicurezza inclusi sistemi di protezione anticaduta.

Grazie a tali sistemi è possibile andare a ridurre in maniera drastica le possibilità di incidenti, soprattutto quando questi vengono combinati con dei dispositivi retrattili che agiscono come delle vere e proprie cinture di sicurezza, ovvero andandosi a bloccare in maniera automatica nel caso in cui vi sia una accelerazione improvvisa dovuta ad una caduta.

Tali dispositivi di sicurezza sono solitamente agganciati ad una linea vita tetto il cui scopo è proprio quello di assicurare il dispositivo di sicurezza alla superficie sulla quale il dipendente sta lavorando.

Grazie a questo tipo di sistemi l’estensione dell’assorbitore va ad aumentare volutamente l’altezza di caduta, così da consentire una migliore distribuzione delle forze e rendere praticamente innocuo questo tipo di avvenimento per il lavoratore.

Si tratta evidentemente di una importante risorsa per migliorare notevolmente il livello di sicurezza in cantiere.

Qual è la configurazione di protezione anticaduta più adeguata?

In linea di massima possiamo dire che non esiste una tipologia di configurazione di protezione anticaduta adeguata a tutte le situazioni, ma molto dipende dalle specifiche del luogo sul quale si sta lavorando e delle persone che ne usufruiscono.

Ci sono inoltre diversi fattori che influiscono sulla qualità di assistenza nella caduta e questi vanno dalla capacità del cordino di allungarsi all’utilizzo della assorbitore di energia, dalla capacità del cavo di deflettersi si alla distanza con il punto In cui si è ancorati al bordo del tetto, per citarne alcuni.

Ad ogni modo, tenere a mente le considerazioni di cui sopra aiuterà certamente nello scegliere la configurazione più adatta per il proprio sistema di protezione anticaduta.

L’obiettivo è sempre quello di cercare di ridurre al minimo le possibili conseguenze di una caduta, così da rendere ogni cantiere un luogo sempre più sicuro e fare in modo che il numero di incidenti sul lavoro possa diminuire in maniera decisa.

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Ambiente, Italia virtuosa: gli obiettivi 2030 sempre più vicini

Ci sono ottime indicazioni sul fatto che il nostro Paese possa centrare, se non addirittura migliorare, gli obiettivi di riduzione delle emissioni stabiliti dall’Unione europea previsti dal piano 2030. È quanto emerge da uno studio Enea pubblicato sulla rivista scientifica Atmosphere, che ha valutato l’efficacia delle politiche e delle misure per la qualità dell’aria, introdotte dall’attuale Programma nazionale di controllo dell’inquinamento atmosferico del Ministero della Transizione Ecologica. Entro il prossimo decennio con le misure previste dal Piano, il nostro Paese potrà centrare gli obiettivi di riduzione delle emissioni stabiliti dall’Unione europea per biossido di zolfo (-80% contro un target Ue del 71%), ossidi di azoto (-70%, target Ue 65%), PM2.5 (-42%, target Ue 40%), Composti Organici Volatili Non Metanici (-50% target Ue 46%) e ammoniaca (-17% target Ue 16%). In questo modo, si potranno garantire benefici in termini di salute (-50% di decessi rispetto al 2010) ed economici (33 miliardi di euro risparmiati rispetto allo stesso anno).

I settori che possono contribuire di più

Secondo l’analisi svolta dal team dell’Agenzia, al 2030 la riduzione delle emissioni di biossido di zolfo sarà trainata da alcuni comparti, in particolare quello marittimo (-89% rispetto ai valori del 2010) e della produzione di energia (-59%). È previsto un forte calo anche per le emissioni degli ossidi di azoto, soprattutto nel settore del trasporto su strada (-74%) e della generazione elettrica (-46%). Sul fronte del PM2.5, il settore che fornirà il maggiore contributo in termini di abbattimento delle emissioni di particolato ultrafine è il settore civile (-46%) che continuerà a mantenere il primato per tali emissioni al 2030. L’ammoniaca rimane l’inquinante con le riduzioni più basse (-9% rispetto ai valori del 2010), un risultato ottenuto soprattutto grazie al minore impiego di fertilizzanti a base di urea nel settore agricolo e delle emissioni zootecniche.

Un mondo più sano

Sul fronte della salute pubblica, l’adozione di politiche e misure di qualità dell’aria, con interventi nei settori energetico, civile, agricolo e della mobilità, potrebbe portare ad una drastica riduzione della mortalità causata da patologie aggravate o sviluppate per effetto dell’inquinamento dell’aria. In particolare, il calo delle concentrazioni di biossido di azoto potrebbe portare a una riduzione della mortalità rispetto al 2010 del 93% (793 casi rispetto agli 11.769 stimati nel 2010), a seguire il PM2.5 con il 41% di decessi in meno (34.666 casi rispetto ai 58.867 del 2010) e l’ozono (O3) con il 36% di morti evitate (1.725 casi rispetto 2.692 del 2010). “Interessante è il dato per il PM2.5: secondo le nostre simulazioni, al 2030 i decessi dovrebbero scendere a 4,43 casi ogni 10 mila abitanti rispetto ai 7,25 del 2010 e la riduzione più significativa, a livello regionale, si verificherebbe soprattutto nella Pianura Padana e nelle aree urbane di Firenze, Roma e Napoli” afferma Ilaria D’Elia, ricercatrice del laboratorio Enea Inquinamento Atmosferico e co-autrice dello studio.

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Occupazione, nel 2021 riprende la domanda di lavoro: i dati Inps

Buone notizie sul fronte dell’occupazione. A dare i “numeri” della ripresa è l’Inps, che ha analizzato l’andamento delle domande di lavoro del 2021. In sintesi, si registra una decisa ripresa rispetto al 2020, anche se non si ancora ritornati ai valori pre crisi del 2019. Il XXI Rapporto annuale dell’Inps, riporta Adnkronos, evidenzia che i segnali di recupero della domanda di lavoro nel 2021 risultano generalizzati a tutti i settori, con le variazioni più intense nelle costruzioni (+23%) e nella ricerca-selezione del personale (+24%).

La ripresa sul 2020

La domanda di lavoro nel 2021 ha fortemente recuperato rispetto al 2020 (+7,5%) ma è rimasta ancora al di sotto del livello del 2019: -1,7%, corrispondendo a circa 270.000 anni-uomo in meno (un ‘anno-uomo’ corrisponde a 312 giornate retribuite dal datore di lavoro nell’anno, al netto delle giornate eventualmente indennizzate per cig o malattia). Ciò è interamente dovuto al settore privato mentre nel comparto pubblico il livello della domanda è rimasto costante, grazie al fatto che la crescita nei comparti istruzione e sanità ha bilanciato l’andamento opposto delle amministrazioni centrali e locali.”In pochi comparti il livello della domanda ha superato quello del 2019: oltre alle costruzioni e al caso sui generis della selezione del personale, ciò è stato raggiunto da utilities, metalmeccanico, istruzione e sanità”, spiega l’Inps aggiungendo che gli ambiti nei quali la caduta della domanda appare ancora assai pronunciata sono alberghi e ristorazione (-27% sul 2019), tessile-abbigliamento-calzature (-12%), altri servizi quali intrattenimento (-11%). Se consideriamo solo le piccole imprese, fino a 15 dipendenti, si riscontra che – nonostante l’ottima dinamica di crescita evidenziata nel 2021 (+12%) – la distanza dal 2019 è tuttora nettamente più pronunciata (-7%) e superiore a quella media complessiva.

Cresce la domanda a tempo indeterminato 

Dal Rapporto pare che la domanda effettiva di lavoro espressa dalle imprese maggiori sia stata meno pesantemente condizionata dall’altalena generata dalla pandemia. La distribuzione della domanda per tipologia contrattuale e regimi di orario segnala che nel 2021 l’apporto del lavoro a tempo indeterminato è inferiore del 2,1% al livello 2019, quello del lavoro stagionale è sotto dell’11,2% mentre quello del lavoro a termine è modestamente superiore: +1,5%. Nel confronto con il 2020, la domanda a tempo indeterminato cresciuta (+5,3%) è frutto essenzialmente del rientro degli organici dalla cig, con il recupero seppur incompleto della contrazione 2020 quantificabile in un milione di unità di anni-uomo. Considerando la quota di domanda che ha interessato rapporti a part time si evidenzia – nonostante il rimbalzo nel 2021 particolarmente favorevole (+9,5%) – un livello ancora nettamente distante da quello del 2019 (-7,4%). Questa maggior variabilità dei rapporti a part time sottintende come all’orario di lavoro più corto sia associata, di fatto, anche una maggior flessibilità funzionale.

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Trasloco che stress: l’8% di chi fa da solo si pente

Il trasloco è un evento stressante e faticoso a cui ognuno di noi va incontro almeno una volta nella vita. Ma come lo fanno i nostri connazionali? Da soli, con l’aiuto di professionisti, lasciando l’incombenza a società specializzate? Per la grandissima parte gli italiani si arrangiano, come evidenzia una recente indagine condotta per Facile.it dall’istituto EMG Different su un campione rappresentativo della popolazione nazionale.

Fai da te per quasi 10 milioni di italiani

Degli oltre 15 milioni di italiani che negli ultimi 5 anni hanno affrontato un trasloco, il 61% lo ha fatto senza ricorrere all’aiuto di una ditta e, fra loro, il 68% ha preso questa decisione per ragioni economiche, ma fra i traslocatori “fai da te” oltre 700mila (8%) hanno dichiarato di essersi pentiti. I dati emergono dall’indagine realizzata per Facile.it in occasione del lancio della sezione Trasloco che segna l’ingresso del comparatore in un nuovo settore.
Per quali motivi si è scelto di farlo in autonomia? E perché ci si è pentiti? Secondo l’indagine, il tempo impiegato mediamente per traslocare è di 7 giorni, mentre i mesi preferiti per mettere mano a pluriball e scatoloni sono maggio, (14%), aprile e giugno (12%), e settembre (11%). Guardando all’ultimo trasloco fatto, per il 28% dei rispondenti lo ha fatto per spostarsi da una casa in affitto a una di proprietà.
«Quando si cambia casa,» spiega Stefano Arossa, responsabile della sezione Trasloco di Facile.it «le cose a cui pensare sono tantissime, lo stress arriva alle stelle e per risparmiare qualche euro si rischia di fare scelte delle quali, poi, ci si pente. Proprio per questo abbiamo creato un servizio gratuito che guidi gli utenti, non solo nella gestione e nell’organizzazione del trasloco, ma anche nell’attivazione delle utenze di luce, gas ed internet, aiutandoli a risparmiare, senza dover però rinunciare all’aiuto di professionisti».

Le criticità di fare tutto da soli
Tra chi ha deciso di non rivolgersi ad una ditta specializzata, l’attività più problematica è stata fare gli scatoloni (36%) e trasportarli dalla vecchia alla nuova abitazione (32%). Ma tanti, 2,9 milioni (31%), anche coloro che hanno trovato difficoltà nell’attivare o cambiare le utenze domestiche.
Circa 1 rispondente su 3 (33%) ha avuto almeno un inconveniente, percentuale che raggiunge il 44% fra coloro che hanno svolto un trasloco completo, con anche, quindi, lo spostamento dei mobili. Tra i contrattempi più diffusi c’è la perdita di alcuni oggetti durante il trasporto (15%) e l’aver danneggiato quanto spostato (12%); l’8%, invece, ha ammesso di aver addirittura…litigato con i nuovi vicini prima ancora di essere entrato in casa!

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